Osea 4:1: Anatomia di un collasso sociale

 Osea 4:1: Anatomia di un collasso sociale
“Poiché non c’è verità, né misericordia, né conoscenza di Dio nel paese”.
Durante la crisi finanziaria del 2008, Warren Buffett disse: “Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione e cinque minuti per distruggerla.” 
Se questo è vero per le aziende nel mondo della finanza, quanto più lo è per le 
nazioni davanti a Dio.
Israele aveva accumulato un “capitale spirituale” enorme, per esempio: la liberazione dall’Egitto, il patto del Sinai, la conquista della terra promessa. 
Ma in Osea 4:1, scopriamo che quel capitale era stato completamente dilapidato perdendo, la nazione era degenerata e disintegrata, la sua reputazione di popolo fedele a Dio.
Come una banca che dichiara bancarotta, Israele aveva perso ciò che la definiva: 
la verità, la misericordia, e la conoscenza di Dio.
Da Osea 4, l’ultima volta abbiamo visto come Dio apre un procedimento legale contro il Suo popolo. Abbiamo scoperto che, quando un profeta parlava, era il tribunale del cielo che si apriva sulla terra. 
Oggi scopriamo le accuse specifiche contenute nell’atto d’accusa divino.
Osea spiega la motivazione della controversia del Signore con il Suo popolo: tre carenze fatali che hanno devastato la società Israelita. Non si tratta di crimini evidenti, ma di un deficit spirituale così profondo da minare le fondamenta stesse della nazione.
Se l’ultima volta abbiamo visto CHI porta l’accusa (Dio come querelante), oggi vediamo QUAL È l’accusa specifica. E scopriremo che questa diagnosi antica è sorprendentemente attuale.
Osea riporta tre carenze fatali del popolo d’Israele: non c’è verità, non c’è misericordia, non c’è conoscenza di Dio nel paese.
L’enfatica triplice ripetizione di “non” (ʾên) ci fa capire che la spiritualità d’Israele era diventata un “guscio vuoto”, come quelle noci che sembrano buone fuori, ma dentro sono senza frutto, o come una bella mela in apparenza, ma dentro ha i vermi.
L’apparenza religiosa senza sostanza è peggio dell’onesta fragilità.
Possiamo considerarci adoratori del Signore, ma la nostra condotta può essere in netto contrasto con la volontà di Dio, proprio come quella che Osea condanna.
Anche oggi possiamo cadere nella stessa trappola d’Israele. Le sue azioni contraddicevano quello che pensavano di essere, si credeva fedele, ma viveva da infedele: c’era un abisso tra quello che professava e quello che praticava.
L’abisso tra professione e pratica è la prova di una fede morta.
La distanza tra quello che professiamo e quello che pratichiamo è la misura della nostra ipocrisia.
Dobbiamo lavorare costantemente per ridurre questa distanza. L’obiettivo non è la perfezione immediata – ne siamo consapevoli - ma la coerenza progressiva.
Israele aveva una religione senza una vera relazione con Dio secondo Dio.
Questo dovrebbe farci riflettere: è possibile essere culturalmente cristiani senza essere spiritualmente trasformati.
Il pericolo più grande non è sapere di essere lontani da Dio, ma credere di essere vicini quando non lo siamo.
Quanti oggi si chiamano cristiani ma non mostrano alcuna evidenza di trasformazione? Professano di conoscere Dio, ma le loro vite negano questa conoscenza. 
Non basta dire “Signore, Signore” - Gesù stesso disse che molti che si credono salvati scopriranno di non averlo mai veramente conosciuto (cfr. per esempio Matteo 7:21-23).
Cominciamo a vedere le caratteristiche deficitarie d’Israele che descrive il profeta Osea.
I LA MANCANZA DI VERITÀ
“Non c’è verità”.
Il vescovo Warren Akin Candler (1857–1941) è stato una figura di spicco nella Chiesa Metodista Episcopale del Sud negli Stati Uniti, disse: “Se Dio colpisse ancora i bugiardi come una volta, dove sarei io? Vi dico dove: qui a predicare a una chiesa vuota!”
La parola “verità” (ʾĕmet) esprime uno degli attributi di Dio (cfr. per esempio Esodo 34:6) e si aspetta che sia caratteristica del Suo popolo, e i profeti sfidano le persone quando non è così (cfr. per esempio Geremia 9:4; Zaccaria 8:16).
La parola Ebraica tradotta con “verità” è “ʾĕmet”, indica non solo la verità oggettiva che rispecchia la realtà (Deuteronomio 13:15), o contrapposta anche all’inganno (cfr. per esempio Geremia 9:5).
Indica anche la costanza, la fedeltà (cfr. per esempio Giosuè 24:14; Salmo 30:10; 43:3; 54:7; 71:22; Isaia 38:18-19); l’affidabilità nelle relazioni (cfr. per esempio Genesi 24:27; Esodo 18:21; Neemia 7:2; 9:13; Proverbi 22:21).
La verità è la qualità di chi è onesto e che mantiene la parola data.
Essa connota relazioni dignitose e responsabili tra una persona e l’altra (cfr. per esempio Genesi 24:49; 47:29; Esodo 18:21; Giosuè 2:12,14) e quindi tra i cittadini di una società.
Camminare nella verità significa anche comportarsi secondo gli standard santi di Dio (cfr. per esempio Giosuè 24:14; 1 Samuele 12:24; 1 Re 2:4; 3:6; Salmo 86:11; Isaia 38:3), quindi si riferisce specificamente alla fedeltà del patto che Israele doveva dimostrare verso Dio e nelle relazioni reciproche.
Allora “verità” non è solo verità nel senso intellettuale o proposizionale - è anche fedeltà relazionale, costanza etica, affidabilità esistenziale. 
Non si tratta di “avere ragione”, ma di “essere stabili e degni di fiducia”, di essere fedeli!
Quando Pompei fu distrutta dall’eruzione del Vesuvio, molte persone furono sepolte dalle rovine. Alcune furono trovate nelle cantine, come se fossero andate lì per cercare sicurezza. Altre furono trovate nelle stanze superiori degli edifici. Ma dove fu trovata la sentinella Romana? 
Mentre altri cercavano rifugio, lui rimase fedele al suo posto. Mentre la terra tremava e il cielo pioveva morte, la sua presa sull’arma non si allentò mai.  Questa sentinella era in piedi alla porta della città dove era stata posta dal capitano, con le mani che stringevano ancora la sua arma. Là, mentre la terra tremava sotto i suoi piedi, là, mentre le inondazioni di cenere e scorie lo ricoprivano - era rimasto al suo posto. E là, dopo mille anni, questo uomo fedele fu ancora trovato.
Quando tutto il mondo fugge, i fedeli rimangono!
Quando tutto il mondo cede, i fedeli resistono!
Dio non cerca eroi nei momenti di gloria, ma sentinelle nei momenti di crisi. 
Dove ci troverà il Signore quando tornerà?
Nelle nostre relazioni, nelle nostre promesse, nel nostro lavoro - la mancanza di verità corrode tutto. 
Dobbiamo essere persone di parola, affidabili come Dio è affidabile con noi.
Senza verità nella vita pubblica e privata, i legami che uniscono gli individui in una società si allentano, e una nazione diventa internamente instabile, scettica e diffidente senza quella base comune di fiducia e integrità che rende possibile la convivenza civile e la cooperazione tra cittadini. 
Quando non c’è “ʾĕmet”, il dibattito si avvelena, le istituzioni perdono credibilità e il tessuto sociale comincia a sgretolarsi.
Che dire della chiesa in relazione alla verità di cui parla Osea?
La chiesa moderna spesso soffre dello stesso male di Israele: diciamo “Amen” la domenica, ma viviamo “A ME” il resto della settimana.
Evita la spiritualità part-time. Se la tua fede funziona solo in chiesa, non funziona affatto. 
La vera trasformazione si vede sempre, ogni giorno non solo nei momenti di culto.
Purtroppo per molte persone che si dicono cristiane, ʾĕmet è diventata un abito della domenica che indossano solo in chiesa, attori spirituali che recitano un ruolo invece di essere testimoni autentici che vivono una realtà.
Si professa di credere nella santificazione, ma non si pratica.
Si parla di trasformazione, ma si cerca solo informazione. 
Si canta: “Prendi la mia vita, prendila Signor e la tua fiamma bruci nel mio cuor. Tutto l’esser mio vibri per te, sii mio Signore e divino Re”, ma non GLI si dona il nostro tempo.
Tutto questo non fa perdere la credibilità come ricorda Joseph Stowell quando dice: “L’ipocrisia nelle nostre vite non solo infastidisce Dio, ma offre al mondo che osserva una scusa per rifiutare Gesù. Se le nostre vite non sono moralmente coerenti con ciò che affermiamo essere buono e vero, non c’è speranza di catturare l'attenzione delle persone che ci circondano.”
Non possiamo proclamare ciò che non pratichiamo, non solo perché Dio non viene glorificato, ma anche perché non saremo affidabili come un elettricista con le sopracciglia bruciate, o un idraulico che lavora con stivali di gomma.
C’è una frase attribuita a Gandhi che criticava l’ipocrisia dei cristiani: “Mi piace il vostro Cristo, non mi piacciono i vostri cristiani. I vostri cristiani sono così diversi dal vostro Cristo.”
Quando la nostra condotta contraddice la nostra confessione, non predichiamo Cristo - predichiamo contro Cristo.
Promettiamo al mondo una vita trasformata, ma spesso offriamo solo una religione deformata. 
La chiesa ha perso credibilità non per quello che crede, ma per come si comporta. Siamo diventati come banche che predicano la ricchezza mentre dichiarano bancarotta morale.
Il mondo ascolta le nostre vite più forte delle nostre parole.
La tua condotta predica 24 ore su 24, 7 giorni su 7, mentre le tue parole predicano solo quando parli. Assicurati che i due sermoni dicano la stessa cosa.
Non mancava solo la “verità”, c’era anche:
II LA MANCANZA DI MISERICORDIA 
”Né misericordia.”
“Misericordia” (ḥesed) è l’amore leale (cfr. per esempio Esodo 34:6-7; Numeri 14:19; Salmo 136), la generosità e la bontà che va oltre il meritato. 
Molte volte si pratica l’amore a rate invece dell’amore a fondo perduto.
Siamo diventati banche dell’amore - prestito solo con garanzie, interessi alti, pronta revoca.
Predichiamo l’amore incondizionato, ma pratichiamo l’amore con clausole in caratteri piccoli.
È l’amore per i bisognosi e per coloro che hanno bisogno di aiuto o di amore compassionevole.
La misericordia è l’amore che perdona, che si china verso chi è in difficoltà per aiutarlo, quindi la solidarietà, e come ci ricorda Henry David Thoreau: “La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai.” 
Sappiamo che è una cosa brutta soffrire, avere un problema, ma c’è una cosa peggiore a questa: il fatto che nessuno si accorge di te.
A volte la misericordia è data, ma abbiamo paura poi che altri si approfittano, allora ci ritiriamo, è come un tachimetro: amiamo solo fino a una certa velocità, poi freniamo!
Altre volte è come una sveglia, la facciamo suonare solo quando ci conviene!
 
La misericordia secondo Dio non ha orario d’ufficio - dalle 9 alle 17, lunedì chiuso per riposo settimanale!
Distribuiamo misericordia col contagocce e critichiamo col secchio.
Siamo generosi con i consigli e avari con l’aiuto.
Quindi la misericordia si esprime in atti di cura di una persona che si trova in una situazione di bisogno, è un impegno che non ha data di scadenza né clausole di fuga. È l’amore in azione sempre nonostante tutto! 
Parlando di questa parola John Mackay commenta così: “Si riferisce all’impegno reciproco che dovrebbe caratterizzare le parti di un patto, un atteggiamento interiore che dovrebbe essere evidenziato da un’azione esteriore appropriata.”
Secondo questa citazione, la misericordia è un impegno che nasce interiormente e agisce in modo appropriato in base al bisogno del ricevente.
La misericordia, non è dare agli altri quello che ci fa sentire bene, ma quello di cui hanno veramente bisogno: la vera misericordia è intelligente, non sentimentale.
È interessante che John Mackay parla delle parti di un patto, e gli Israeliti erano legati a Dio e tra di loro attraverso un patto, e il Decalogo (i Dieci Comandamenti) ne è il fondamento, o la condizione morale attraverso cui si struttura, si custodisce e si esprime. 
La parola “misericordia” è spesso usata per indicare l’amore di Dio legato alla fedeltà al Suo patto (cfr. per esempio Esodo 34:6; Deuteronomio 7:9,12).
Quella misericordia che aveva Dio (cfr. per esempio 2 Samuele 15:20; Salmo 33:5; 103:17; Geremia 33:11; Gioele 2:13) e che doveva amare il Suo popolo (cfr. per esempio Michea 6:8) mancava a quest’ultimo. 
Chi ha ricevuto la misericordia da Dio deve essere il primo a mostrarla, non deve aspettare che l’altro la meriti.
Questa parola suggerisce il legame di reciprocità che deve caratterizzare una relazione personale vera e continua come quella di Dio.
Nella misericordia, dono senza aspettarmi di ricevere nella stessa misura, ma creo un ambiente dove l’amore può crescere naturalmente.
Il popolo di Dio deve imitare il Signore. Il modo in cui si era comportato verso gli Israeliti stabiliva lo standard per la loro condotta che rendeva possibile la convivenza.
Dovevano mostrare misericordia l’uno con l’altro (cfr. per esempio 1 Samuele 20:15; Salmo 141:5; Proverbi 19:22), specialmente verso i poveri, i deboli e i bisognosi (cfr. per esempio Giobbe 6:14; Proverbi 20:28).
Osea ci fa capire che la giustizia sociale e la solidarietà sono venute meno, e con esse la coesione del popolo.
Il popolo non era costante (Osea 6:4), apparendo e scomparendo come la nebbia mattutina anche se Dio desiderava questo dal Suo popolo più dei sacrifici che gli offrivano (1 Samuele 15:22; Osea 6:6). 
Dio cercava persone devote (Isaia 57:1) che avrebbero compiuto atti di pietà, fedeltà e gentilezza (cfr. per esempio 2 Cronache 32:32; 35:26; Neemia 13:14).
Desiderava persone che avrebbero mantenuto la lealtà e responsabilità del patto.
Il patto creava un legame di fratellanza del popolo, e ciò avrebbe dovuto manifestarsi in una reciprocità amorevole e premurosa.
Questa misericordia che mancava in Israele è la stessa che il Nuovo Testamento chiama a vivere oggi alla chiesa imitando Dio (cfr. per esempio Matteo 5:7; Efesini 5:1-2; Colossesi 3:12-13).
Per esempio, in Luca 6:35-36 Gesù dice: “Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”.
In una società dove prevale la legge del taglione, i cristiani sono chiamati a essere agenti di grazia. 
Questo significa perdonare, aiutare chi è in difficoltà, essere generosi anche quando non è dovuto.
La chiesa non deve essere un ospedale che rifiuta i malati e accoglie solo persone sane perché non vuole impegnarsi.
La chiesa non deve essere un club esclusivo, ma una casa di misericordia che accoglie tutti! Una famiglia allargata dove c’è sempre posto a tavola per uno in più.
Infine, consideriamo:
III LA MANCANZA DI CONOSCENZA DI DIO  
Sempre nel v.1 leggiamo che: “Né conoscenza di Dio”
In Israele non c’è la conoscenza di Dio (daʿat ʾelōhîm).
“Né” (ʾên) indica che non esisteva proprio la conoscenza di Dio come per la verità e la misericordia.
Il popolo non faceva lo sforzo di conoscere veramente Dio (cfr. per esempio Osea 6:3).
È chiaro: senza conoscenza di Dio non ci può essere né verità né misericordia autentiche. 
Tutto è collegato - quando cade il fondamento, la conoscenza di Dio, crolla l’edificio, la verità e la misericordia.
Ora che cosa significa in questo contesto conoscere Dio?
Conoscere Dio non è semplicemente una conoscenza intellettuale su qualcosa di Dio.  È più che avere informazioni veritiere sulla Sua natura e volontà direttiva, la consapevolezza delle Sue vie, della Sua legge, che molto probabilmente molti in Israele non avevano.
Non puoi conoscere Dio come conosci un libro di testo, anche se è giusto studiare la dottrina di Dio.
Falliamo se pensiamo che Dio sia solo un argomento di studio fine a sé stesso, perché Dio è una Persona vivente che chiede relazione: lo studio deve mirare a una relazione intima e profonda con Dio.
Ma è anche una conoscenza nel senso che non avevano una relazione personale con Dio, non lo avevano sperimentato veramente (cfr. per esempio Genesi 28:16; Esodo 33:11; Proverbi 2:5; 9:10; Geremia 1:5; 22:16; 31:34; Osea 2:20), (cfr. per esempio Geremia 1:5; 31:34; Osea 2:20), e non lo riconoscevano come Signore della loro vita, perché riconoscevano gli idoli pagani (Baal - cfr. per esempio Osea 2:7-8,13,16) come divinità.
In Deuteronomio 4:23 Mosè aveva avvertito Israele: “Guardatevi dal dimenticare il patto che il Signore, il vostro Dio, ha stabilito con voi e dal farvi una scultura che sia immagine di qualsiasi cosa che il Signore, il tuo Dio, ti ha proibita. Poiché il Signore, il tuo Dio, è un fuoco che divora, un Dio geloso.”
Questa conoscenza in Osea rappresenta l’essenza della relazione del patto tra Dio e il Suo popolo; in questo senso la conoscenza di Dio è collegata al patto che aveva stipulato con il Suo popolo sul Sinai ai tempi di Mosè (cfr. per esempio Esodo 19-40).
Hubbard scrive che “l’assenza di conoscenza di Dio riassume l’intero tema della rivelazione del patto su chi è Dio, su ciò che ha fatto per il suo popolo nella redenzione e su ciò che richiede da loro.”
La conoscenza di Dio non è un lusso spirituale per momenti contemplativi - è l’ossigeno dell’anima senza cui tutto muore.
La conoscenza di Dio è una condotta che scaturisce dalla devozione al patto del Signore ed è ad essa appropriata, radicata negli insegnamenti di Dio; implica l’azione, ovvero la pratica di qualità morali che riflettono l’impegno verso la legge, la volontà e la natura del Signore.
La conoscenza di Dio in Osea è il cuore pulsante del patto con cui Dio e il popolo sono legati (cfr. per esempio Genesi 18:19; Geremia 1:5; Amos 3:2 dove si trova la stessa radice di conoscere di Osea 4:1; Matteo 7:23).
È quell’intimità relazionale che avrebbe dovuto caratterizzare Israele, il popolo del patto, ma che è tragicamente assente, lasciando spazio ai crimini elencati nei versetti successivi.
La mancanza di conoscenza di Dio indica il dimenticare e disprezzare la legge di Dio (Osea 4:6; 8:12).
Il problema non era che Dio non si fosse rivelato, ma che il popolo non aveva mostrato interesse a conoscerlo. 
Si erano allontanati dal Signore, rompendo il patto (Geremia 31:33; Osea 2:23).
 
Quindi, la conoscenza è comportamentale, è devozionale, è una conoscenza trasformante.
Vuol dire piuttosto accogliere profondamente chi è Dio e cosa vuole, lasciandosi trasformare interiormente. 
La persona che davvero conosce Dio è quella il cui cuore e carattere sono stati plasmati dalla relazione con Lui.
James Montgomery Boice scriveva: “La conoscenza è quel risveglio esperienziale a Dio nell’amore che influenza la nostra condotta.”
La prova della conoscenza è nel comportamento. Israele dimostrava con la condotta di non conoscere Dio veramente.
Conoscere il Signore è simile al timore del Signore (Proverbi 2:5), è una relazione con Dio che include comportamento pratico (cfr. per esempio Salmo 36:10; 119:79; Proverbi 3:6), 
Questo è dimostrato dai parallelismi Biblici dove conoscere Dio significa temerlo (1 Re 8:43; Salmo 119:79; Proverbi 1:7); servirlo (1 Cronache 28:9); cercarlo (Salmo 9:11); attaccarsi a Lui (Salmo 91:14), invocarlo (Salmo 79:6; Geremia 10:25), controllare le parole (Proverbi 17:27).
Conoscere Dio significa essere appassionati per le cose che lo appassionano (Geremia 9:23-24).
La vera conoscenza accende la passione, non spegne la vita. Israele aveva perso sia la conoscenza che la passione.
Al contrario, non conoscere il Signore significa apostasia e violazione dei Suoi comandamenti (1 Samuele 2:12-13; Giobbe 18:21), il che spiega perché in Osea 4:1-2 l’assenza di questa conoscenza relazionale porta immediatamente ai crimini morali elencati nei versetti successivi.
L’assenza di conoscenza porta immediatamente alla violazione dei comandamenti morali.
La “conoscenza di Dio” non è solo teologia astratta, ma conoscenza pratica dei Suoi insegnamenti come fonte di una vita comunitaria armoniosa (cfr. per esempio Osea 4:6; 6:6). 
Non è una sfera “religiosa” separata da quella “etica” - la relazione con Dio è inseparabile dalla relazione con il prossimo (cfr. per esempio Matteo 22:34-40).
“Se conosciamo Dio come è in sé stesso e come si pone nelle sue relazioni con noi, conformeremo la nostra condotta al suo carattere e le nostre azioni alla sua volontà. Se sappiamo che Dio è un Dio di verità, che si compiace della verità nelle parti interiori, coltiveremo la verità nel nostro cuore, la esprimeremo con le nostre labbra e la metteremo in pratica nella nostra vita. Se conosciamo Dio come un Dio di misericordia, che ci ha mostrato una misericordia così illimitata nel perdonare le nostre offese moltiplicate e aggravate, imiteremo quella misericordia nei nostri rapporti con il nostro prossimo” (Spence-Jones).
Conoscere Dio significa riconoscere il Suo carattere e la Sua autorità suprema espressa in modo tangibile tramite l’obbedienza ai Suoi comandamenti ed essere disponibili a servirlo con un cuore integro e animo volenteroso (cfr. 1 Cronache 28:9).
Ora, anche oggi possiamo cadere nella stessa trappola di Israele in due modi che chiameremo “cristianesimo culturale” e “illusione emotiva”.
Riguardo il cristianesimo culturale, possiamo dire che viviamo in un’epoca di “cristianesimo senza peso”, dove la gloria di Dio ha perso la Sua gravità nella vita dei credenti. 
Ma quello che vediamo nella Bibbia è che la gloria di Dio non è una decorazione teologica, ma il peso specifico della realtà divina che dovrebbe superare ogni altra priorità nella vita del credente.
Quando perdiamo la visione della gloria di Dio, non perdiamo solo un attributo divino - perdiamo Dio stesso. 
La gloria di Dio non è qualcosa che Dio ha, è qualcosa che Dio è (cfr. per esempio Geremia 2:11-12; 2 Pietro 2:16-17), come anche la manifestazione del Suo essere (cfr. per esempio Matteo 16:27; Romani 1:19-20; Ebrei 1:3;) e il fine ultimo di tutta l’esistenza (cfr. per esempio Isaia 43:7; Romani 11:36; 1 Corinzi 10:31).
La gloria di Dio è il sole del sistema spirituale. Tutto nella vita cristiana orbita attorno ad essa. Quando la gloria di Dio non è più il centro, tutto il sistema spirituale va in frantumi.
Quando l’uomo perde la visione della gloria di Dio, perde anche il suo scopo esistenziale e la sua bussola morale.
Quando la chiesa perde il senso del peso della gloria di Dio, diventa leggera come una piuma - facilmente trascinata dalle menzogne di questo mondo.
Una chiesa senza il senso della gloria di Dio è come un pianeta senza sole: tutto diventa freddo, morto e senza vita.
Un cristiano che non vive per la gloria di Dio è come un orologio senza le lancette - fa rumore ma non segna il tempo corretto.
Abbiamo costruito cattedrali spirituali magnifiche, ma vuote con splendide vetrate ma senza luce divina.
Abbiamo una cultura cristiana senza Cristo, una religiosità senza rigenerazione.
Abbiamo mantenuto la forma senza la forza, l’apparenza senza l’essenza.
Il cristianesimo culturale è come un’auto perfettamente lucidata, ma senza motore: bellissima da vedere, ma incapace di portarti dove devi andare. 
Sa cosa dire in chiesa, ma non sa cosa fare nel mondo. 
Sa citare versetti a memoria, ma non sa vivere la trasformazione che quei versetti dovrebbero produrre.
È la tragedia di chi ha la ricetta della vita, ma continua a morire di fame spirituale.
Ma se il cristianesimo culturale è un estremo pericoloso, c’è un altro rischio altrettanto insidioso: l’illusione emotiva.
Ci sono credenti che confondono l’emozione del momento con la conoscenza di Dio. 
Scambiano i brividi della musica worship per l’intimità con l’Altissimo; i brividi sentimentali per la maturità spirituale.
È come confondere l’innamoramento con l’amore - uno dura una serata, l’altro dura una vita.
Le emozioni sono come il meteo - cambiano in fretta. 
La conoscenza di Dio è come il GPS - ti orienta sempre, anche quando il cielo è nuvoloso. 
La vera conoscenza di Dio trasforma i lunedì mattina, non solo le domeniche sera.
Come Israele, anche noi rischiamo concretamente di perdere sia la conoscenza che la passione genuina e matura per Dio.
Non possiamo vivere una fede senza consapevolezza della gloria di Dio, o solo esclusivamente emotiva, o di seconda mano: dobbiamo avere il nostro rapporto personale con Dio, e questo sarà possibile solo ed esclusivamente attraverso Gesù Cristo e nessun altro (cfr. Giovanni 1:18; 14:6; 1 Timoteo 2:5).
Ma attenzione: questa conoscenza non è un traguardo statico che si raggiunge una volta per tutte. 
È piuttosto un giardino che va coltivato quotidianamente attraverso:
La preghiera: il dialogo costante che mantiene viva la relazione.
Lo studio della Bibbia: l’alimentazione regolare che nutre la crescita spirituale.
La comunione con altri credenti: il contesto comunitario dove la fede si affina e si approfondisce.
Solo così potremo evitare sia l’aridità del cristianesimo culturale che l’instabilità dell’illusione emotiva, costruendo invece quella conoscenza di Dio che è insieme intellettuale e relazionale, pattuale e comportamentale - proprio come Dio intendeva fin dall’inizio.
Stai vivendo un cristianesimo culturale che ha la forma, ma non la sostanza?
Stai vivendo un cristianesimo emotivo?
Cosa vuoi fare della tua vita?
Vuoi coltivare quella conoscenza profonda e trasformante che fa la differenza tra religione e relazione?
CONCLUSIONE
Oggi abbiamo sezionato l’anatomia di un collasso sociale. Abbiamo visto come tre carenze fatali - mancanza di verità, misericordia e conoscenza di Dio - possano distruggere una nazione dall’interno.
La crisi dell’Occidente è stata spiegata in molti modi: declino istituzionale, rivoluzione tecnologica, perdita di valori tradizionali. 
Ma il cuore del problema è più profondo: quando una cultura rigetta il Dio della Bibbia, inizia il suo declino spirituale, morale e sociale!
Quando una società rigetta Dio, non rimane senza religione, trova altri déi da adorare che al posto di dare verità e misericordia portano menzogna, slealtà e durezza.
Ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte. Pensiamo che sia la società il problema, ma la società è fatta di ciascuno di noi!
Se vogliamo che non collassi, dobbiamo conoscere Dio, così ci saranno verità e misericordia.
Quando manca la conoscenza di Dio, tutto crolla. Ma quando torna la conoscenza di Dio, tutto può essere ricostruito.
Ma non accontentarti del cristianesimo culturale né dell’illusione emotiva. Coltiva la conoscenza di Dio che trasforma i lunedì mattina, non solo le domeniche.
Non aspettare che la società cambi - inizia tu oggi!
Ogni risveglio spirituale nella storia è iniziato quando singole persone hanno deciso di prendere sul serio la conoscenza di Dio.
Non accontentarti di una fede da vetrina. Sii sentinella, non spettatore. Sii testimone, non attore. Sii verità vivente, non slogan religioso.
Smetti di interpretare il cristiano e inizia ad esserlo veramente! Dio cerca cuori sinceri, non performance spirituali.
“Signore, mostraci dove la nostra vita ha smesso di riflettere la Tua verità. Dove abbiamo preferito l’apparenza alla sostanza, la reputazione alla santità, la religione alla relazione. Donaci il coraggio di confessare e la grazia per cambiare.
Padre, insegnaci ad amare non solo quando è facile, ma sempre. A non aiutare solo chi ci ringrazia, ma chi ha bisogno. A non aspettare che l’altro meriti, ma a mostrare misericordia senza aspettare che l’altro la meriti, proprio come Tu hai fatto con noi.
Liberaci dal cristianesimo culturale che ha forma, ma non sostanza. Salvaci dall’illusione emotiva che confonde i brividi con la maturità. Rendici autentici testimoni della Tua verità, canali della Tua misericordia, e persone che Ti conoscono davvero.
Trasforma la nostra chiesa in una comunità che vive ciò che proclama. Fa' che attraverso le nostre vite rotte ma restaurate, il mondo possa vedere che, quando torna la conoscenza di Dio, tutto può essere ricostruito.
Per la Tua gloria e nel nome di Gesù. Amen."





Commenti